Il guaritore ferito

da | Ott 17, 2020

Quando penso al mio lavoro di psicoterapeuta mi torna alla memoria il mito del centauro Chirone.

Figlio illegittimo di Crono e Fillira, immortale, il più saggio e benevolo di tutti i centauri Chirone fu grande esperto dell’arte medica, insegnante di Asclepio (padre della medicina) e di Eracle.

Chirone viene ferito per sbaglio al ginocchio con una freccia dall’amico Eracle, alterato dai fumi del vino. Questa ferita inguaribile provocò molto dolore, e a nulla servirono i propri poteri magici.

Chirone fu costretto ad una vita di sofferenza a causa della sua immortalità, ma Zeus gli concessedi donare la propriaimmortalità a Prometeo salvando con lui tutti gli uomini, e Chirone offrì il suo dolore come occasione di cura per il giovane Asclepio.

Chirone ha sempre presente la propria ferita e dalla sofferenza impara l’arte della cura. La ferita è uno spazio attraverso cui il dolore e la sofferenza degli altri possono entrare in lui.

A questo proposito ho trovato questo interessante racconto sul valore rivoluzionario della cura dell’altro:

Anni fa, all’antropologa Margaret Mead fu chiesto quale riteneva essere il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di strumenti da caccia, vasi di argilla o pietre di selce.

La Mead rispose invece che il primo segno di civiltà in un’antica cultura era un femore rotto e poi guarito.

Nel regno animale, se ti rompi la gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume per bere qualcosa o cercare cibo.

Siete carne per le bestie, nessun animale sopravvive ad una gamba rotta abbastanza a lungo da far guarire l’osso.

Un femore rotto e guarito è la prova che qualcuno si è preso del tempo per stare con colui che è caduto: ha legato la ferita, ha portato la persona in sicurezza e l’ha curata.

Aiutare qualcun altro a superare le difficoltà è dove inizia la civiltà.

Come Chirone, il terapeuta può comprendere la sofferenza dell’altro solo riconoscendo e integrando la propria.

Non è debolezza o fragilità, ma al contrario una via di accesso alla comprensione della sofferenza altrui.

Il guaritore non è immune dalla sofferenza, anzi entrando in contatto con il proprio dolore, sente ciò che prova l’altro e risuonando può dargli sostegno.

Lo psicoterapeutaha imparato a riconoscere, a non negare, ad integrare e ad usare le proprie ferite per comprendere e curare il dolore degli altri.

Non abbiate paura delle vostre ferite, dei vostri limiti, della vostra impotenza, perché è con quel bagaglio che siete al servizio dei malati e non con le vostre presunte forze, con il vostro presunto sapere.” (Ostaseki)

Ancheil filosofo Andrè Breton parla della sofferenza personale come di un “quid” che rende ogni persona diversa da tutte le altre.

Sulla base di questa “differenza”, il terapeuta sviluppa la propria attitudine a prendersi cura dell’Altro, la capacità di spendersi all’interno di una relazione di aiuto.

Il “guaritore ferito” trova il necessarioautosostegno per offrire a sua volta supporto e facilitare il cammino di crescita di chi gli si rivolge in cerca di aiuto.

La psicoterapia è allora lo spazio sacro in cui il guaritore ferito ascolta, vede, comprende la ferita dell’altro; se ne prende cura con rispetto e delicatezza perché in quella ferita vede sofferenza del paziente, il proprio dolore e quello di tutta l’umanità.

Solo così è possibile incontrare il paziente nella profondità della sua esistenza tormentata e sofferente e sostenere la bellezza che si cela sotto le macerie.