In questi giorni ci stiamo misurando con il tanto desiderato, e ahimè problematico, allentamento del lockdown.
Ascoltando le persone sembra che la gestione della libertà personale sia (strano a dirsi) più difficile dell’accettazione delle limitazioni.
La libertà è indeterminata, mutevole, soggettiva, i limiti sono imperiosi, chiari, oggettivi.
Il comune nemico ci ha fatto chiudere nelle nostre case davanti a scene terribili di morti e di città desolate e mute; il progressivo ritorno alla libertà comincia qua e là a creare qualche disagio.
Siamo talmente abituati alla libertà da avere avuto problemi nella gestione dei limiti, e dopo un lungo periodo di paura e tristezza qualcuno fa fatica adesso a vivere la propria libertà con responsabilità.
Vedo persone affamate di recuperare spasmodicamente quello che non hanno potuto vivere; tanti invece guardano con timore al mondo esterno, non solo per il contagio ma perché la casa è diventata il rifugio, il bunker in cui sentirsi protetto, il nido accogliente in cui percepirsi sicuro.
Siamo davanti ad un nuovo momento evolutivo, una sfida personale e collettiva: abbiamo l’occasione di rieducarci alla libertà, di selezionare e apprezzare gradualmente quanto ci è mancato, di ridare valore alle relazioni mancate, alle esperienze interrotte.
Abbiamo l’occasione di rivalutare scelte fallimentari, di rivedere ciò che conta davvero per noi e per il mondo, e di farlo con responsabilità e nella consapevolezza dei nostri umani limiti che la pandemia ci ha sbattuto drammaticamente in faccia:
“Non si nasce liberi, lo si diventa, e non basta né desiderarlo, né sognarlo, né avere la sensazione di esserlo, per diventarlo realmente: essere liberi è una conquista continua, e precaria, che dura tutta una vita.”
Larsson B., 2007, Bisogno di libertà