Sindrome della capanna

da | Mag 31, 2020

La chiamano “sindrome della capanna” e descrive la situazione problematica nella quale dopo un lungo confinamento, magari gestito bene, il ritorno alla normalità genera ansia e stress.

Abbiamo trascorso mesi di restrizioni fisiche e relazionali, abbiano atteso con ansia il ritorno ad una qualche normalità e adesso che siamo chiamati a riprendere progressivamente in mano la nostra vita, in tanti avvertono una certa resistenza, o vera e propria preoccupazione, nei confronti del mondo esterno.

Molte persone lamentano l’ansia di riprendere i ritmi precedenti e lamentano la pressione di dover nuovamente lanciarsi nel mondo: è cambiata la realtà che conoscevamo, la città sembra un luogo diverso, l’incontro con gli altri è mediato o ostacolato dai dispositivi di sicurezza.

Le nostre case sono diventate un rifugio, talvolta un bunker, l’ultimo baluardo di sicurezza da un nemico comune ed invisibile; ci siamo concessi maggiore tempo per noi, i nostri cari, gli hobby, ma al contempo ci siamo tenuti lontani dal mondo e dagli altri e ora lamentiamo il disagio nel ritorno alla vita precedente.

Specialmente i ragazzi (ma non solo loro!) stanno “scegliendo” di restare nel bunker davanti ai loro schermi digitali.
Forse ancora più di prima avvertono l’ansia per un presente che non li attenziona e l’incertezza per un futuro che non li include.

Il futuro sembra una dimensione confusa e incerta, difficile da progettare o perfino da desiderare, e in questa tensione crescente aumenta la paralisi personale e relazionale.

Questa nuova realtà può essere difficile da accettare, può disorientare, in tanti purtroppo la stanno rifiutando, preferendo il loro bunker iperconnesso e silenzioso.

In questo scenario del tutto nuovo la relazione terapeutica può diventare il terreno solido da cui ripartire per riappropriarsi della fiducia in se stesso, della propria capacità di avventurarsi nel mondo e nelle relazioni.