La Terapia

da | Gen 10, 2020

Cosa è la Psicoterapia della Gestalt

(tratto da www.gestalt.it di © Margherita Spagnuolo Lobb)

Introduzione alla Psicoterapia della Gestalt

La psicoterapia della Gestalt è un metodo psicoterapico post-analitico che integra in una sintesi unica i modelli corporei, esperienziali, del profondo, di gruppo e familiari. E’ nata negli Stati Uniti negli anni ’50, grazie alle intuizioni dello psicoanalista tedesco Frederick Perls, della moglie Laura Polsner e di un gruppo di intellettuali statunitensi, tra cui Paul Goodman e Isadore From.

Ogni esperienza non può che avvenire al confine di contatto tra “un organismo animale umano” e il suo ambiente. Ed è proprio ciò che avviene in questo confine ad essere disponibile alla nostra osservazione e all’intervento terapeutico. Secondo la psicoterapia della Gestalt, ciò che cura non è la comprensione razionale e quindi il controllo del disturbo, bensì il sentirsi riconosciuti nella intenzionalità di contatto verso l’altro significativo.

Questo approccio porta nel campo della clinica e del rapporto persona/società i valori estetici, il rispetto per la creatività individuale e il riconoscimento della bellezza insita nel relazionarsi umano. L’arte dello psicoterapeuta della Gestalt include l’improvvisazione, la creatività, la poesia, come parola essenziale che nasce dal corpo.

La psicoterapia della Gestalt si applica al singolo, alla coppia, alla famiglia, al gruppo, alle organizzazioni.

Etimologia della parola “Gestalt”

“Gestalt” è una parola tedesca che corrisponde al significato di “struttura unitaria”, “configurazione armonica”. Questo termine è legato a due correnti di ricerca, nate in periodi e con obiettivi diversi: la psicologia della Gestalt, una scuola teorica tedesca che negli Anni Venti ha studiato la percezione e la psicoterapia della Gestalt, una scuola clinica post analitica, sviluppatasi negli Stati Uniti negli Anni Cinquanta, nell’ambito delle psicoterapie umanistiche. Tuttavia, come vedremo, il fatto che queste due scuole siano accomunate dal nome “gestalt” non è casuale.

La storia e le origini della psicoterapia della Gestalt

La psicoterapia della Gestalt si inserisce tra le terapie umanistiche. Nasce a New York, nel 1950 circa, dalle intuizioni di Friedrich Perls, uno psicoanalista ebreo tedesco, emigrato negli Anni Quaranta per motivi razziali in Sudafrica e poi negli Stati Uniti, e per opera di un gruppo di intellettuali statunitensi, profondi conoscitori della psicoanalisi, che elaborò le intuizioni di Perls. Di essi citiamo i nomi di maggiore spicco: Paul Goodman, Laura Polsner (moglie di Perls), Isadore From, Paul Weisz, Lotte Weisz, Elliott Shapiro, Allison Montague, Sylvester Eastman. La nascita della psicoterapia della Gestalt espresse la sintesi creativa di varie correnti culturali, filosofiche e psicologiche, che nel dopoguerra rivelarono con pienezza nuovi paradigmi culturali. Oltre alla psicologia della Gestalt, di cui F. Perls aveva avuto esperienza diretta quando era stato assistente di Goldstein, e alla psicoanalisi naturalmente, contribuirono alla formulazione del suo pensiero le esperienze di analisi individuale con Wilhelm Reich (Salonia-Spagnuolo Lobb, 1988) e con Karen Horney (Salonia, 1990; Cavaleri, 1990; 1991), la teoria di Otto Rank sulla centralità della controvolontà per la crescita differenziata e creativa della persona umana (Rank, 1932; Muller, 1991; Davidove, 1993) e ancora l’Olismo nella teorizzazione di Jean Smuts (Robine, 1993), l’Esistenzialismo e la Fenomenologia, a cui Perls fu addestrato da Isadore From (Rosenfeld, 1987), le filosofie orientali, in particolare lo Zen.

Friedrich Perls, inserito nel fervore degli studi della psicologia della Gestalt, e partendo da una insoddisfazione verso la teoria freudiana dell’Io, intuì che l’introiezione termina il proprio compito evolutivo fondamentale molto prima di quanto avesse teorizzato Freud e indicò nello sviluppo dei denti (fase dentale) l’evidenza fisiologica di tutto ciò. Infatti, se la suzione del latte materno da parte del neonato crea (o sostiene) la capacità umana – a livello fisiologico come psicologico – di introiettare, lo sviluppo dentale deve pure creare (o sostenere) una capacità fisiologica e psicologica del bambino, ovvero quella di destrutturate sia il cibo che la realtà, di aggredirli per poterli poi assimilare (se nutrienti), o rifiutare (se nocivi o non nutrienti). La capacità di masticare e di mordere che nasce nell’organismo con lo sviluppo dentale dà assoluto rilievo all’aggressività in un momento evolutivo significativamente anteriore a quello teorizzato da Freud. Inoltre, l’aggressività stessa venne intesa da Perls in termini positivi, di sopravvivenza e di crescita fisica ed esistenziale dell’organismo: il naturale attualizzarsi della spinta all’autorealizzazione (Spagnuolo Lobb, 1991). La prospettiva positiva dell’impulso all’auto-attualizzazione di Goldstein influenzò in maniera fondamentale il pensiero di Perls, che si poneva quale modalità di superamento del dualismo presente nella metapsicologia freudiana tra impulsi dell’individuo e necessità dell’organizzazione sociale. Infatti, dal momento che l’individuo è soggetto che destruttura e ristruttura, gli si apre la possibilità concreta di vivere nel proprio mondo con pienezza (Spagnuolo Lobb et al., 1996).

Aspetti Ermeneutici della Relazione Terapeutica

Alcuni principi epistemologici della psicoterapia della Gestalt mi sembrano definire attualmente la peculiarità dell’approccio rispetto ad altri. Sono: il ruolo fondamentale dato alla capacità di destrutturare; l’unitarietà del campo e la demarcazione del confine di contatto nella dinamica figura/sfondo; la scelta dei valori estetici.

Il ruolo dell’aggressività nel contesto sociale. Secondo la prospettiva gestaltica, individuo e gruppo sociale non sono entità a sé, ma parti di una stessa unità in reciproca interazione, per cui la tensione che può esistere tra di esse non è da ritenersi l’espressione di un insolubile conflitto, ma il necessario movimento all’interno di un campo che tende all’integrazione e alla crescita. L’intuizione di Fritz Perls sullo sviluppo infantile, che dà valore alla capacità di aggredire implicita nello sviluppo dei denti (aggressione dentale, Perls, 1995), si basa su una concezione della natura umana capace di autoregolazione, sicuramente più positiva rispetto alla concezione meccanicistica vigente a cavallo tra il XIX e il XX secolo (di cui anche la teoria freudiana era imbevuta).

Conseguenze cliniche

Il risvolto clinico di questi tre aspetti ermeneutici della relazione terapeutica si sintetizza nell’atteggiamento del terapeuta che si sente parte della situazione, sostiene l’aggressività della differenziazione, si colloca nel ruolo di cura, resta al confine di contatto con i sensi, più che con categorie mentali.

La relazione e lo scopo della psicoterapia

Lo scopo della cura è che il paziente ripristini la spontaneità nel contattare l’ambiente. Secondo la psicoterapia della Gestalt, ciò che cura non è la comprensione razionale e quindi il controllo del disturbo, bensì qualcosa che ha a che fare con aspetti processuali ed estetici. La cura consiste nell’aiutare il paziente a vivere pienamente rispettando la propria innata capacità di regolarsi nella relazione, e non solo a livello verbale, ma soprattutto a livello di spontanea attivazione delle strutture neuro-corporee preposte alla vita di relazione. La spontaneità è l’arte di integrare la capacitá di scegliere deliberatamente (ego-function) con due tipi di sfondi esperienziali: le sicurezze corporee acquisite (id-function) e le definizioni sociali – o relazionali – di sé (personality-function).

Lo scopo ultimo della relazione terapeutica è che il paziente si senta interessato alla vita, con il permesso di essere creativo nel gruppo sociale di cui fa parte (Polster, 1988; Spagnuolo Lobb- Amendt Lyon, 2003). Ciò si applica non solo al setting individuale, ma anche a quello di coppia, a quello familiare o di gruppo.

L’evoluzione della relazione terapeutica: la prassi gestaltica

Riassumere l’evoluzione della prassi gestaltica in poche righe non è certamente possibile. Per una trattazione sistematica rimando a Polster-Polster (1986), Yontef (1993), Spagnuolo Lobb (1990; 2003b).

La capacità del terapeuta di creare un contesto in cui il paziente possa sviluppare la propria integrità si attua attraverso una “danza” tra terapeuta e paziente. Non è la tecnica esercitata da una persona esperta su un’altra persona che chiede aiuto, è la co-creazione di un confine di contatto in cui i valori, le personalità, i modi personali di affrontare la vita giocano un ruolo fondamentale. È la danza che il terapeuta, con tutta la sua scienza e la sua umanità, e il paziente, con tutto il suo dolore e la sua volontà di guarire, creano per ricostruire il ground su cui poggia la vita di relazione, il senso di sicurezza nella terra e nell’altro, e quindi il lasciarsi andare nell’intimità.

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